Produzione STT – Sistema Teatro Torino / Fondazione Teatro Stabile Torino / Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma / LiberamenteUnico. Prima presentazione marzo 2007
Con Jessica Maria Bellarosa, Didie Caria, Fabio Castello, Cristiana Celadon, Matteo Coda, Valery Coda, Gian Luca Colombelli, Sergio Colombo, Argìa Coppola, Emanuela Currao, Lucia Daniele, Giorgia Goldini, Susi Hennerbichler, Ivana Messina, Carlo Nigra.
Progetto musicale live Nigloswing / Sax and live electronic Gianni Denitto. Collaborazione al progetto Edi Pizzi. Foto di Fabio Maria Palazzolo

“…l’anima è spietata a lei non importa un fico secco dei valori umani…”

Da una riflessione del grande filosofo e psichiatra americano James Hillman, parte il nuovo lavoro, ultima produzione LiberamenteUnico. Che ruolo ha l’Anima nella sempre più frequente sensazione di trovarsi a vivere situazioni difficili contro la propria disposizione, incontri determinanti ma apparentemente casuali, la sensazione di subire una vita lontana da ciò che vorremmo… Là dove ci sembra di non poter stare, di non voler stare, ecco che l’ineluttabilità della vita si fa sentire con tutta la sua forza, come se fosse proprio l’Anima, noncurante e irriverente delle nostre aspirazioni, fragilità e paure, a condurci verso gli incontri e le esperienze funzionali al compimento del nostro destino.

FMP

…”Per sempre” di Barbara Altissimo è un riuscito “nonsense” di teatro-danza musicale che genera continue sorprese, narrative e scenografiche, facendo scaturire dalle zone d’ombra i desideri e i vissuti di nove brillanti danzatori…

Claudia Allasia – La Repubblica

Intervista a Barbara Altissimo
di Giorgia Marino – Teatro Pubblico, marzo 2007

“L’anima è spietata, non le importa niente dei valori umani”: da una riflessione del celebre psicologo americano James Hillman trae spunto il nuovo lavoro di LiberamenteUnico, Per Sempre. La regista Barbara Altissimo racconta il suo percorso artistico e la genesi dello spettacolo.

Il suo percorso è a dir poco eclettico: danza, accademia di musical negli Stati Uniti, teatro di prosa, di ricerca…

Ho cominciato con la danza a soli tre anni e ho studiato classica fino a diciotto, ma poi ho iniziato a chiedermi se fosse la strada giusta per me e a guardarmi intorno. Ho recitato per due anni con Valeria Moriconi, fino a quando ho vinto una borsa di studio per l’accademia di musical di New York. È stata un’esperienza durissima, ma fondamentale: lì ho imparato che cosa vuol dire professionalità. Mentre ero negli Stati Uniti ho anche studiato danza alla scuola “Martha Graham”. In quei quattro anni ho capito che la cosa più importante non è aspirare ad essere qualcun altro, ma saper sfruttare al meglio le proprie caratteristiche, anche i propri limiti e i punti deboli: lavorare con quello che c’è, insomma. Poi sono tornata in Italia, e dopo circa sei mesi ho conosciuto Valter Malosti, con cui ho poi lavorato per dieci anni.

Nel suo curriculum c’è anche un diploma da naturopata…

Sì, sono molto affascinata dal pianeta umano, da come l’individuo, nonostante le sue fragilità e le sue patologie, riesca comunque a stare in piedi. Perciò ho deciso di studiare alla scuola di Riza Psicosomatica, diplomandomi in naturopatia con un master in bio-energetica e movimento-terapia. Ho fatto una tesi su come la terapia può aiutare l’arte.

Cioè?

Penso che un artista per poter raccontare qualcosa – di sé o del mondo esterno – debba sviluppare innanzitutto la capacità di osservazione. La New Age spicciola che impone il suo imperativo “Se vuoi, puoi cambiare!”, non funziona. Non c’è niente da cambiare, bisogna invece imparare a osservare ciò che ci abita. Amo molto insegnare, è la cosa che mi riesce meglio, e quando tengo i miei laboratori e seminari insisto molto sull’importanza di diventare consapevoli. La nostra società, con i suoi ritmi e i suoi tabù, spesso ci impone di staccarci da noi stessi, dal nostro corpo. Il lavoro che io propongo, ispirato alla bioenergetica, consiste dunque in un recupero della capacità di ascolto di noi stessi, così da ricostruire quel contatto perduto. E’ come se fossimo un tappeto ricoperto di polvere e l’idea è proprio di smuovere questa polvere per rendere il corpo un po’ più libero di raccontarsi.

Ha scritto che nel suo teatro i veri protagonisti sono il movimento e il corpo “per la loro qualità di verità”. In che senso?

Nella mia vita protagonista eccellente è sempre stato il corpo. Ho un corpo che parla in maniera mostruosa: se mi arrabbio, il giorno dopo ho mal di fegato e questo è il meno… Il mio organismo riflette tutte le mie idiosincrasie, le antipatie, le paure, i turbamenti. Credo che le posture, le malattie, le reazioni fisiche possano raccontare delle cose incredibili, di cui spesso non siamo nemmeno coscienti. Basta saper osservare…

Da una riflessione sul grande psicologo James Hillman parte il lavoro per il suo nuovo spettacolo, Per sempre. Di cosa si tratta?

I libri di Hillman sono stati per me un passaggio fondamentale e sono affascinata dalla sua visione dell’anima. Hillman sostiene che in ognuno di noi ci sia una forza che ci chiama a percorrere una certa strada, ci conduce verso gli incontri che dobbiamo fare, verso le esperienze funzionali al nostro cammino: questa forza è l’anima. È un concetto che in qualche modo solleva l’individuo da una responsabilità troppo opprimente, senza però privarlo del libero arbitrio. E il libero arbitrio consiste proprio nella possibilità di essere consapevoli di quanto ci accade. Il filosofo canadese Eckhart Tolle sostiene che il nostro potere più grande di cambiamento è appunto la consapevolezza. Mi interessa riuscire a raccontare come l’anima sia presente nei momenti salienti della vita: nella morte, nell’innamoramento, negli abbandoni, nelle violenze… Per quanto tragica e distruttiva sia un’esperienza, c’è sempre una forza che ci spinge in quella direzione. Ad esempio, di fronte a una persona che si distrugge la vita bevendo si è portati a pensare che “poteva scegliere”: secondo Hillman non poteva scegliere, la sua anima l’ha portata fino a quel punto, magari per distruggersi definitivamente, o forse per salvarsi e comprendere qualcosa a cui prima non arrivava. “L’anima è spietata – ha scritto Hillman – non le importa niente dei valori umani”.

Che funzione ha in questo nuovo spettacolo l’attività di laboratorio?

E’ stata fondamentale per scegliere gli interpreti. In estate ho infatti tenuto un laboratorio di una settimana: dalle sessanta persone che si sono presentate, ne ho selezionate nove. Durante queste giornate ho proposto una dimostrazione di quello che sarebbe stato il lavoro preparatorio allo spettacolo: un training fisico; un lavoro sul gruppo, per testare la capacità di ascolto verso gli altri; un lavoro creativo su determinati temi da me proposti, dei “cassetti”. Il cassetto famiglia, il cassetto dipendenza, il cassetto relazioni: come per i cassetti di casa, una volta aperti non si sa cosa possa uscirne fuori… Chiedo così agli attori di rispondere a queste suggestioni con parole, movimenti, oggetti, musica; questo mi permette di capire che cosa hanno da dire, ma soprattutto quanto sono disposti a dire. Bisogna essere molto pazienti e molto generosi per affrontare un lavoro del genere, che non richiede di essere semplicemente un “interprete”, ma di mettersi in qualche modo a nudo. Perciò a farmi scegliere una persona non sono mai le capacità tecniche, ma la disponibilità a lasciarsi guardare nella propria fragilità.